Approccio decisionale data-driven: perché è importante?

4 Luglio 2021

Faccio una breve premessa: non si tratta né di un articolo tecnico, né di un articolo “markettaro”, dato che in Pittica non vendiamo nessuna delle soluzioni di seguito citate.

Cosa significa data-driven?

Letteralmente, “guidato dai dati“. Se non sai cosa significhi data-driven, difficile che tu conosca l’approccio data-driven decision making o DDDM. Nulla di preoccupante, c’è caso che tu lo stia già utilizzando senza rendertene conto!

Fa parte del processo decisionale (anche se non dovrebbe esserne l’unico aspetto), diventando sempre più dominante nella sfera executive, così come nelle piccole realtà in cui, a tutti gli effetti, la sfera executive è minima.

Perché parlare dell’approccio data-driven?

Bella domanda. Credo semplicemente di risparmiare tempo inviando il link dell’articolo a coloro che mi chiedono perché, dopo aver adottato Power BI, il fatturato non sia aumentato del 400%.
In realtà, forse è perché viviamo in una mondo data-driven.

Temi politici, musica, informazione, cucina: tutto, praticamente, è data-driven. In realtà è sempre stato così, si è sempre scelto o creato un tema in base alla potenziale approvazione popolare, o fatto un investimento con dei numeri in mano. Nel 1600, probabilmente, si acquistava un pecora perché si chiedeva al vicino se mangiasse abbacchio. Ora si calcolano i trend da più canali di acquisizione. La logica resta la stessa.

In realtà, questo è un tema che risale al 2019, anno in cui c’è stata una mezza rivoluzione in alcuni Paesi. Proprio quell’anno, a una convention a Parigi, trovai molto interessante il fatto che la ormai fuori moda Business Intelligence fosse stata pescata dal mesto e impolverato baule dei ricordi.

Se presentavi a uno sviluppatore un progetto di BI, una volta, aveva un mancamento, lo avrebbe visto come la diga dei castori. Negli anni, si è arrivato a un insieme di strumenti e di tecnologie per cui sviluppare BI è diventata anche una cosa bella.

Davanti a un piatto di cozze del Belgio, tra le velate luci parigine, ho realizzato che grossi player stavano trasformando la BI in una cosa bella e la stavano presentando alla sfera decisionale come un’ottima portata accompagnata da un bianco profumato.

Già il sospetto lo avevo avuto nel 2017, a un’altra convention, ma le cozze erano fondamentali.

Il design.

Credere di poter avviare un processo decisionale, basato sui dati e dal nulla, è il più grosso errore che si possa compiere. È come prendere una decisione basandosi sul lancio di una monetina.
Il primo aspetto da valutare è l’obiettivo. Senza un obiettivo chiaro, ripetibile nel tempo e misurabile, tutto il processo non ha senso.

Il secondo è l’analisi. Qui la fantasia è nostra nemica. Se non c’è un’analisi applicabile, ci sono problemi da risolvere prima di inoltrarsi nel territorio dei dati.

Il terzo è la comprensione. Sempre costola dell’analisi, la comprensione di eventi, correlazioni e casualità è il collante capace di tenere in piedi tutto. Su questo punto consiglio l’approfondimento sull’argomento Model-Based Approach.

Il Machine Learning.

Il Machine Learning è un aspetto molto presente nelle soluzioni di Business Intelligence. A livello pratico, sostituisce quello che una volta veniva fatto col sudore della fronte di chi faceva data entry e doveva organizzare i dati per poi poterli trattare con efficacia.

Solitamente, viene utilizzato principalmente per data mining e per filtraggio adattivo senza escludere utilizzi più articolati.

In questa prima (ma importantissima!) fase di analisi, il Machine Learning, se opportunamente progettato, diventa una colonna portante del processo.

La Data Visualization.

Un componente fondamentale del DDDM è la presa visione dei dati. La definizione corretta di Data Visualization è “rappresentazione grafica di dati e informazioni“. Per ridurre un po’ il concetto: le dashboard, italianizzate in cruscotti, che mostrano i dati sotto forma di grafici e di riassunti.

Tutto ciò che comprende la visualizzazione dei dati deve essere fruibile e comprensibile a tutti i livelli decisionali e apprezzabile esteticamente. Quando progettiamo una dashboard, occorre sempre utilizzare colori indicativi di quello che vogliamo trasmettere. Il testo, inoltre, deve essere leggibile.

Le soluzioni.

Esistono tanti strumenti out-of-the-box validi, ma non esistono soluzioni complete al 100%.
Se in azienda utilizzi già un ERP SAP, SAPBI rappresenta un valido strumento da utilizzare.

Per scenari molto digital, un grandissimo alleato è Tableu, estremamente potente e modulare.
Oppure Power BI.

Google propone Data Studio e Looker. Personalmente, li trovo interessanti per il tipo di approccio e la potenza dell’infrastruttura.
Qualsiasi soluzione adotterai, deve essere in grado di utilizzare i tuoi dati. Lasciati consigliare bene sul tipo di soluzione, perché ci dovrai convivere parecchio.

Una nota personale per aziende interessate al Process Mining: UiPath. Sicuramente adatto ad aziende di grandi dimensioni e di specifici settori. In sé, l’azienda propone soluzioni veramente interessanti.

La realizzazione.

Ho semplificato molto, e dovrei aver spiegato circa lo 0,1% della data science da cui capire che l’argomento è da trattare coi guanti perché, se sbagli, invece di un incremento del fatturato, avrai una mazzata nei denti.

Soprattutto la fase di design e di scelta degli strumenti deve essere realizzata insieme a un team di professionisti. In Italia ci sono tre aziende che rappresentano l’eccellenza nel settore, ma non essendo un articolo markettaro non scriverò quali sono.

Valuta bene i tempi di realizzazione, serve tempo per analizzare il tuo business. E più è complesso, più ne occorre.

L’Intelligenza Aumentata.

Nell’ambito di tutto ciò che è data-driven, sento di voler fare una distinzione tra intelligenza aumentata e intelligenza artificiale. L’acronimo è sempre AI (Augmented Intelligence e Artificial Intelligence) e ci si confonde.

Perché la distinzione?

Semplice: l’intelligenza aumentata serve da supporto, non da sostituto. Mentre nelle fasi preliminari l’intelligenza artificiale può (dietro opportuni feedback) sostituire l’operato umano, in quello decisionale questo non deve avvenire.

È possibile automatizzare alcuni processi, come vediamo nel data-driven marketing in cui la proposta può essere modulata secondo i trend, ma non si tratta di un reale processo decisionale. Quello sta a monte.

Non mi riferisco all’avere executive sintetici o cose fantascientifiche che sicuramente compariranno come sperimentazione aziendale in un futuro prossimo. Come non dobbiamo permettere a noi stessi di viziare il dato, non dobbiamo permettere al dato di viziare noi.

Essendo umani, occorre sempre ragionare human-centered.

Il decision making.

Ho parlato degli strumenti, degli elementi e delle cozze. Ora veniamo al sodo.
Per prendere una decisione, di qualsiasi natura, occorre conoscere il passato e il presente guardando al futuro.

Le aziende che nascono con un approccio data-driven sono avvantaggiate, poiché non devono trasportare tutto il passato. Quelle più âgées dovranno forse compiere qualche sforzo in più, ma è sempre un’ottima occasione per valutare l’operato gestionale dei periodi passati.

Questo approccio e questo insieme di strumenti potrebbero influenzare il processo decisionale?

Certamente. Solitamente, in meglio. È un classico che molte figure apicali decidano “a sentimento” causando catastrofi o, a volte, raggiungendo risultati straordinari. Tecnicamente si chiamano sfiga e fortuna. Utilizzando un approccio data-driven non si annulla la parte umana, ma si obbliga all’analisi e alle motivazioni.

La velocità e la comprensione, al giorno d’oggi, sono essenziali, e non sono sicuramente opzionali. Questo si adatta alla vita professionale come a quella personale.
Pensa solamente a quanti decisioni non prese perché non si sapeva di doverle prendere, opportunità mancate e processi scarsamente organizzati per mancata analisi, senza parlare della gestione dei rischi.

Una dashboard ben organizzata, magari, non salva la vita, ma aiuta a salvare l’azienda.

Share This